Presentazione

‘Angel la formica’ era il soprannome di un mio prozio: Angelo Maria Zanchi. Classe 1920. Uomo taciturno, solitario. Lasciato spesso a se stesso ed ai suoi silenzi, vittima dei pregiudizi che sovente catalogano chi non comprendono. Ho voluto utilizzare nel titolo questa metafora, un po' per ricordo ma soprattutto perché simbolo di ciò che nello scritto troverete. Pur avendo modificato i nomi per necessità di narrazione, lascio la traccia di questo appellativo approfittando di una bella narrazione tratta dal libro ‘la vita della giumenta bianca’ scritto da Etain Addey che, in un capitolo, racconta delle formiche e ne fornisce spiegazione sia scientifica che simbolica. Una via possibile che, per chi avrà la pazienza (e ringrazio per questo) di giungere alla fine del testo, rivelerà la sua essenza e potenza. Chi di noi non le ha mai osservate nella sua infanzia, chi non ha mai notato che si spostano quando sta per giungere il temporale? Il filosofo latino Celso, verso la fine del II secolo, scrisse a proposito delle formiche: ‘Se poi gli uomini appaiono superiori agli esseri privi di parola perché costruiscono città ed hanno costruzioni, magistrature e governi, la cosa non dimostra nulla; anche le formiche e le api sono nelle stesse condizioni. L’umana economia dei mezzi di sostentamento e la previdenza per i periodi invernali non reggono al confronto con la previdenza delle formiche. Esse rimuovono i germogli dei frutti che conservano perché questi non vengano a germinazione, ma possano durare loro per il nutrimento dell’annata’. Nonostante abbiano tanti diversi compiti (nutrici, soldati, raccoglitori, costruttori), le formiche sono flessibili, cambiano, di volta in volta, i lavori che fanno. Portano le covate di notte in fondo al nido per proteggerle dal freddo e di mattina le riportano in alto per godere del calore. Quando fa troppo caldo o c’è siccità, le operaie corrono avanti e indietro, passandosi acqua da bocca in bocca per riversarla sulle pareti del nido e tenerlo fresco. Puliscono le uova ed usano le loro secrezioni di antibiotici e fungicidi per scoraggiare i parassiti e, addirittura, si è scoperto che vanno a raccogliere (questo nella zona del Jura in Svizzera) la resina del peccio che ha proprietà antimicrobiche e la spargono nel nido come prevenzione. Anche l’architettura dei nidi è spettacolare. La Terra nera aiuta a tenere la temperatura del nido stabile tra i 22° e 30°. Le formiche sono ingegneri dell’ecosistema: fan concorrenza ai lombrichi, arricchiscono la terra con materiale organico: azoto, fosforo, potassio ed humus. Sono dieci di milioni di miliardi divise in 12.000 specie (c’è chi ipotizza siano 90.000 specie in più) e, sommando il loro peso, raggiungono quello della popolazione umana. Forse dovremmo imparare da loro per gli effetti sull’ecosistema. Le formiche (di specie americane) han ‘scoperto l’agricoltura’ cinquanta milioni di anni prima di noi, alcuni generi tagliano e raccolgono le foglie, non le mangiano perché non digerirebbero la cellulosa, le masticano per fare un substrato per i funghi che coltivano. Da noi, sono ‘allevatrici e pastori’. Hanno gli afidi al posto delle vacche, le formiche ‘mungono’ gli afidi accarezzandoli pian piano con le antenne e con le zampe e ricevono una dolce secrezione zuccherina con aminoacidi, minerali e vitamine. Interagiscono con l’ambiente. Ogni formica ha 250.000 cellule cerebrali, una persona 100 miliardi, ma una colonia di 400.000 formiche raggiunge il numero di cellule cerebrali pari a quella di una persona. Quando s’ incontrano tra di loro parlano e non sbagliano nemmeno la strada. La vita in società le ha fatte fenomeno di comunicazione per necessità. Il linguaggio è chimico, secernono diversi feromoni , ognuno con il proprio significato percepito dalle altre tramite gusto e olfatto. Ogni colonia ha il proprio odore, in proporzione diversa per ogni casta ed ogni età. Se una formica tocca le antenne di un’altra formica del proprio nido, capisce precisamente con chi ha a che fare. Quando trova del cibo, lascia una scia di feromoni per marcare la strada verso casa. Le due antenne della formica che recepiscono il messaggio forniscono informazioni sia sulla direzione sia sull’importanza della scoperta e, ogni formica che segue la strada tracciata, la rinforza con altri feromoni. In più, i loro occhi hanno cellule specializzate con cui percepiscono la luce polarizzata del sole e della luna ed è per questo che le formiche hanno una capacità di orientamento eccezionale, spostandosi a grandi distanze dal nido senza problemi.
Celio la formica è il protagonista di questo racconto, silenzioso ed efficiente come lo sono le comunità di formicai. Il centro dello scritto che ha saputo mettersi a fianco al momento opportuno. In Celio ognuno può ritrovare una parte di qualcuno che ha conosciuto, è una moltitudine di persone ed eventi incontrati realmente, scampoli di personaggi spariti alla vista ma presenti tra le pieghe dei racconti quotidiani, percepibili tra i sussurri di un sentire condiviso che unisce, nei luoghi, tempi diversi e genti lontane. Le montagne, nostro formicaio, posto antico che odora sempre di nuovo, fan riaffiorare cose dimenticate, come una sorgente che scaturisce dalle falde nascoste della terra. Ho cercato di inventare parte della sua storia ma che rappresentasse la storia di un paese, Bracca, e dei suoi abitanti nel corso del secolo breve. Avevo di fronte i volti dei conosciuti, le foto di altri, le storie di altri ancora. Ne è emersa, spontanea, una sorta di ‘Forrest Gump’ locale, senza pretese ma con la convinzione di aver cercato una fedeltà narrativa ai testi e documenti consultati. Ne è uscito un racconto scorrevole che integra le pubblicazioni edite in questi anni. Un testo in cui fantasia e storia s’incontrano, s’incrociano, si scontrano per divenire dialogo che faccia emergere vissuti e valori, custoditi e sopiti nella memoria collettiva. A questo tende e mira il libro.

Prof. Stefano Zanchi